Matera, se non è la tua città d’origine è per prima cosa arrivarci. Il viaggio per Matera è già Matera. Treni scombinati e fuori da ogni sincronia che governa la regola universale del binario, autobus lanciati a sasso sulle autostrade la notte e carichi di respiri d’ansia, rassegnazione e nostalgia, macchine azzoppate sulle buche della Basentana e reduci di un mostruoso videogioco di sbarramenti e lavori in corso e in corsa, aerei che atterrano a distanza di un viaggio ancora, passi e passaggi e occasioni e camminare. Matera è la meraviglia e l’imbarazzo, una lotta tra il bene e il meglio che non sai combattere. Matera è il sorriso e la risata. Matera è la cicatrice e la ferita. Un metro campione del dolore depositato sulla traccia genetica di questa gente. L’ostinazione di strappare terra alla terra, sasso al sasso.
Sono trent’anni che Giorgio Olmoti arriva a Matera, ha cominciato a sentirla casa ma non riesce a rinunciare a tutti gli altri posti, che pure l’hanno accolto e riparte e scopre e torna. Matera sta lí e accoglie sempre. Forse è il suo pregio e il suo difetto. E allora questi appunti sono di viaggio e di permanenza, perché a un certo punto ti accorgi che anche quando sei ripartito qualcosa è rimasto lí e tocca tornare a riprenderselo. E lo sai da solo che è una scusa e che non sei ripartito sul serio. Matera è una bestia mutante in questo tempo che pare palpitare di un’incredibile velocità nuova che ci lascia fermi troppo spesso al nostro tavolino, digitando il nome del mondo e credendo di aver guadagnato confidenza con la conoscenza. Matera ora è sulla bocca di tutti, programmata sulle agende della folla di quelli che arrivano tutt’insieme. Va bene anche questo. Va tutto bene. Quante ne ha già viste Matera. Tutto quello che è umano dura un respiro e la pietra dura il tempo tutto, per questo a volte guardi i Sassi e sembra che quelle bocche aperte stiano ridendo. Se ne accorgono in pochi e già l’autobus riparte. Buona strada e buona fortuna.
Lascia un commento